martedì 30 maggio 2017

MA VIENE UN TEMPO ED È QUESTO



  “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” mette a tema il cambiamento d’epoca in atto proponendo un percorso di riflessione che culminerà in un’Assemblea nazionale convocata a Roma per il prossimo 2 dicembre

Cari Amici,
a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, una rete di associazioni e di cristiani qualunque volle richiamare in vita quell’evento e rilanciarne la ricezione nella Chiesa, in quattro successive assemblee annuali che si tennero a Roma dal 2012 al 2015. Quella vasta iniziativa di base, in controtendenza rispetto al clima ecclesiale di allora, si chiamò “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”. Essa concluse il suo ciclo con l’Assemblea del 9 maggio 2015 che, richiamando la “Gaudium et Spes”, aveva come tema: “Gioia e speranza, misericordia e lotta”. Quel titolo già risentiva di una novità: era successo infatti che nella sede di Pietro avesse fatto irruzione papa Francesco, che proprio dal Concilio aveva preso le mosse per rimettere in cammino la Chiesa e riaprire, nel cuore di una modernità che la stava archiviando, la questione di Dio.
Proprio all’inizio del pontificato, dinanzi a una platea che non poteva essere più universale, essendo formata dai 6000 giornalisti che avevano seguito il Conclave, il papa svelò il suo programma dicendo: “Come vorrei una Chiesa povera per i poveri!”.

Sembra naturale  che quanti come lui volevano e vorrebbero una Chiesa così, continuino a lavorare per questo scopo. Perciò dopo una pausa di parecchi mesi, dal 7 marzo di quest’anno abbiamo rinnovato e rilanciato il sito intitolato alla “Chiesadituttichiesadeipoveri”, l’abbiamo alimentato ogni settimana e abbiamo intrapreso l’ invio regolare di una newsletter che giunge a tutti i richiedenti come  notizie@dachiesadituttichiesadeipoveri.  Stabilita tale base operativa,  abbiamo ora convenuto di aprire una riflessione che ci conduca fino al prossimo incontro. Il tema che intendiamo proporre è:  “Ma viene un tempo ed è questo”, tema che vorremmo portare a un primo confronto pubblico il 2 dicembre prossimo a Roma in un’Assemblea promossa dai gruppi già partecipi delle precedenti iniziative e aperta a tutte le persone interessate (a cominciare dai teologi, ma anche da quei teologi che sono i semplici cristiani, fino a quanti non si ritengono o non sono né teologi né cristiani).
Naturalmente sotto questa proposta di riflessione e di Assemblea c’è un’idea, o se si vuole un’ipotesi, che appunto si tratta di valutare; un’ipotesi abbastanza importante da apparire meritevole di essere esplorata, perfino se fosse infondata.
L’idea, o l’ipotesi, è che il tempo non si è fermato, che il progresso storico non è ricacciato indietro dalla tempesta della crisi e che, nonostante tutto, viene un tempo nuovo ed è questo  (sempre se gli lasciamo aperto anche un piccolo varco per il quale possa entrare).
C’è un simbolo, di grande impatto popolare, di questo nuovo tempo che viene, ed è il pontificato di papa Francesco. Non si tratta di fare paragoni incresciosi tra questo e altri pontificati; il fatto è che questo pontefice ha rimesso nel cuore della Chiesa il tema messianico. Aprendo  ogni giorno il vangelo al popolo, egli ha ristabilito un continuo rimando, che si era perduto, dal Messia al Padre, ha scrostato dal volto di Dio la patina di errate dottrine onde si credeva di rendergli onore, ha annunciato un Dio non violento  ed è arrivato a proporre la non violenza come stile radicale di vita agli uomini e agli ordinamenti. In tal modo egli si è ricongiunto al grande tema messianico di Isaia e di Michea delle lanci trasformate in falci, oltrepassando i confini della Chiesa istituita e mettendo la misericordia, contro i falsi messianismi, al centro della storia del mondo e della salvaguardia del creato.
Ma se questo è il simbolo e forse il volano che introduce all’epoca nuova, molti altri segni ci sono che un tempo è finito e un altro preme alle porte.
Non era mai successo che il mondo fosse materialmente unito come è adesso, quando tutte le cose dell’esistenza ormai sono globali e comuni, denaro e debito, armi e materie prime, ponti e muri, onde elettromagnetiche e blackout, inquinamento ed energia; ed anche la guerra è globale e comune, sparsa dovunque, oltremare e sulle soglie di casa.
Non era mai successo che popoli interi, famiglie con bambini e bambini non accompagnati, a migliaia e a milioni, migrassero e si muovessero da una patria all’altra, non per conquistare nuove terre ma per andare ad abitarle, e ne fossero ricacciati e affogati.
Non era mai successo che ognuno, in tempo reale, potesse avere notizia e fare esperienza di tutto.
Ciò che non è globale, ciò che non si è messo in comune è invece lo spirito di cui vive il mondo; non sono patrimonio comune la giustizia e il diritto, la condiscendenza e l’accoglienza, i saperi e gli aneliti, l’amore di Dio e l’amore del prossimo.
In questa contraddizione c’è l’alternativa tra l’epoca nuova e la catastrofe. 
Nel decidersi di questa alternativa l’unica cosa che non si può dire è che la religione non c’entri. L’artificio cristiano su cui si è costruita la modernità, “facciamo come se Dio non ci fosse e il mondo lo costruiamo lo stesso”, oggi non è più possibile. Sono gli altri che non ci stanno. Si può decidere che Dio non c’è, e promuovere una società che gli sia indifferente, come è nel segreto pensiero dell’Occidente, ma non si può immaginare che sia così per tutti, che se ne spenga il fuoco sulla terra, e che perfino le religioni facciano a meno di Dio, quando invece è proprio in suo nome che anche oggi vengono perpetrati i peggiori delitti o  scattano i più alti antidoti per la salvezza del mondo. In altre parole il retaggio religioso è troppo potente per non avere impatto, nel bene o nel male, sulla crisi epocale in atto. E perché questo impatto non sia per il male (come si teme dal fanatismo islamista e non solo), ma sia per la pace e per il bene, non basta che la conversione sia del cristianesimo (dove pure recalcitra), occorre che sia di tutte le religioni. Non si tratta solo di dialogo, ma di una nuova creazione. Il Dio nonviolento non è solo il Dio inedito ora annunciato dalla Chiesa, è il Dio nascosto da portare alla luce in ogni religione o fede teista; la lettura storico-critica e sapienziale delle Scritture non deve essere solo della Bibbia, ma deve esserlo del Corano e di ogni testo sacro; il discernimento tra il Dio dell’ira e della vendetta e il Dio della misericordia e del perdono deve essere non solo dei battezzati, ma dei confessanti di ogni fede, pur ciascuno restando un tassello del poliedro.
Questo sembra il tempo nuovo che la Chiesa ripartita dal Concilio e fatta scendere in strada da Francesco ha oggi il compito di annunciare e di far accadere. Sì, le cose del mondo vanno male: Ma…. Sì, i tempi sembrano brutti: Ne viene un altro. Sì, ma quando mai sarà questo tempo? È questo. Come dice Gesù alla donna samaritana, indicando il momento e la sostanza della svolta: “Ma è venuto il tempo, ed è questo, in cui i veri adoratori non lo faranno su questo monte o a Gerusalemme ma adoreranno il Padre in spirito e verità”.
Che cosa voglia dire questo, da quali Gerusalemme o santuari si debba uscire per dare avvio al tempo nuovo, e come il suo avvento possa essere il programma del terzo millennio non sappiamo. Questo è tuttavia l’oggetto della riflessione cui sono chiamati oggi i discepoli di Gesù, e questo è pure il tema dell’assemblea del 2 dicembre. Il sito chiesadituttichiesadeipoveri è al servizio di questa impresa.
Con cordiali saluti

Per “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”: Vittorio Bellavite, Monica Cantiani, Emma Cavallaro, Giovanni Cereti, Franco Ferrari, Valerio Gigante, Raniero La Valle, Serena Noceti, Enrico Peyretti, Stefano Toppi, Renato Sacco, Rosa Siciliano, Rosanna Virgili.

Roma 30 maggio 2017

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