di Raniero La Valle
C’è una
questione seria: chi farà la rivoluzione di papa Francesco? Non parlo della rivoluzione nella Chiesa, che papa Francesco
chiama «conversione» o anche «permanente riforma» e che, come dice nella Evangelii Gaudium, deve cominciare dalla
conversione del papato: questa la deve fare lui e con lui la devono fare i
credenti della sua Chiesa Ma la rivoluzione che papa Francesco invoca per la
società, e che lui chiama riforma finanziaria ed etica, per cambiare «un sistema
sociale ed economico ingiusto alla radice» (E.
G. n. 59) e abbattere la «dittatura dell’economia senza volto né scopo
realmente umano», la dobbiamo fare noi, i cittadini, uomini e donne amanti
dell’umanità e della giustizia, credenti o non credenti che siamo.
La critica al
sistema economico dominante in nome dei poveri e degli esclusi Bergoglio l’ha
formulata ben prima di diventare papa, insieme a tanti preti e vescovi che per
questo, fossero o no partecipi della teologia della liberazione, in Argentina
erano chiamati «comunisti». Ma «la scelta dei poveri risale ai primi secoli del
cristianesimo» testimoniò il cardinale Bergoglio a Buenos Aires dinanzi alla Corte che indagava sui crimini del
regime militare argentino: «se io oggi leggessi come omelia alcuni dei sermoni
dei primi Padri della Chiesa del II-III secolo, su come si debbano trattare i
poveri - spiegò ai giudici - direste che la mia omelia è da marxista o da
trotzkista», mentre invece «la scelta dei poveri viene dal Vangelo».
Una critica di sistema
Il tema dei poveri doveva essere poi non
solo un tema teologico forte del pontificato di Francesco («per la Chiesa
l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale,
sociologica, politica o filosofica» ha scritto nella Evangelii Gaudium n.198; «tra la nostra fede e i poveri esiste un
vincolo inseparabile», n. 48)), ma doveva diventare l’architrave del suo
giudizio sulla situazione storica e del suo programma pastorale per il mondo. È
rimasta ben presente in lui la consapevolezza, maturata in America Latina,
delle cause strutturali della povertà, e questa si è tradotta in una radicale
critica di sistema che il papa ha cominciato ad articolare e ad enunciare fin
dai primi atti del suo pontificato. Già il tema fu avanzato in tutta la sua
ampiezza nel discorso rivolto agli ambasciatori di quattro piccoli Paesi venuti
a presentargli le credenziali il 16 maggio 2013, nel quale metteva sotto accusa
il «rapporto che abbiamo con il denaro,
nell’accettare il suo dominio su di noi e sulle nostre società», per cui «oggi
l’essere umano è considerato come un bene di consumo che si può usare e poi
gettare. Abbiamo incominciato questa cultura dello scarto – aggiungeva - Mentre
il reddito di una minoranza cresce in maniera esponenziale, quello della
maggioranza si indebolisce. Questo squilibrio deriva da ideologie che
promuovono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria,
negando così il diritto di controllo agli Stati pur incaricati di provvedere al
bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che
impone unilateralmente e senza rimedio possibile le sue leggi e le sue regole.
Inoltre, l’indebitamento e il credito allontanano i Paesi dalla loro economia
reale ed i cittadini dal loro potere d’acquisto reale. A ciò si aggiungono,
oltretutto, una corruzione tentacolare e un’evasione fiscale egoista che hanno
assunto dimensioni mondiali. La volontà di potenza e di possesso è diventata
senza limiti».
Il papa è poi tornato più volte a tematizzare la «cultura dello scarto».
Il mondo di oggi non è concepito, non è pensato per tutti: «Uomini e donne
vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la cultura dello
scarto», ha detto Francesco il 5 giugno in piazza san Pietro; e più volte ha
citato un midrash ebraico che, a
proposito della torre di Babele, diceva che se si rompeva un mattone d’argilla
tutti facevano un grande pianto, ma se un operaio cadeva dall’impalcatura e
moriva, nessuno si preoccupava. E la stessa cosa accade «se una notte d’inverno
in via Ottaviano» (che è vicino al Vaticano) «muore una persona; quella non è
una notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da
mangiare, quella non è una notizia, sembra normale…. Al contrario un
abbassamento di dieci punti nelle borse di alcune città costituisce una
tragedia. Così le persone vengono scartate come se fossero rifiuti».
Questo filo
rosso che attraversa tutta la predicazione di papa Francesco, rimarrebbe un
puro lamento se non si traducesse in un’assillante richiesta di un cambiamento
di sistema, esplicitamente chiamato in causa come tale. Così ha fatto quando,
parlando con i giornalisti di ritorno dal Brasile, ha additato «il sistema
socio-economico mondiale» come responsabile dei morti e dei naufraghi di
Lampedusa; così ha fatto parlando agli operai e ai disoccupati di Cagliari, il
23 settembre 2013, esortandoli a non farsi «rubare la speranza e la dignità»
insieme col lavoro, ad avere coraggio, a pregare per avere il lavoro e per
imparare «a lottare per il lavoro», mentre egli, per parte sua, non poteva
limitarsi a dire
solo «una bella parola di passaggio», ma doveva impegnarsi «come pastore e come
uomo» per sostenere questo coraggio, per rivendicare insieme ai lavoratori «un
sistema giusto, non questo sistema economico globalizzato, che ci fa tanto male».
Finalmente la
critica di sistema di papa Francesco prendeva tutta la sua forza in un
passaggio cruciale del documento programmatico del suo pontificato, l’esortazione
Evangelii Gaudium pubblicata a
conclusione dell’anno della fede.
Qui il papa
riprendeva alla lettera le tesi già enunciate agli ambasciatori il 16 maggio e
diceva che con la stessa forza con cui proclamiamo il non uccidere «oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione
e della inequità”. Questa economia uccide…. Oggi tutto entra nel gioco della
competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più
debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si
vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di
uscita» (E.G. n.53).
Né si può
pensare che le cose si mettano a posto da sé, come vorrebbe l’assioma
ideologico del liberismo; infatti il papa respingeva «le teorie della “ricaduta
favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero
mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale
nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime
una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere
economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel
frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare».
Dallo sfruttamento all’esclusione
Mai, dopo la
critica marxiana al capitalismo era stata espressa un’opposizione così forte al
sistema economico vigente, alla sua ideologia, alla sua matrice antropologica,
anche se il nome con cui viene chiamato l’oggetto del rifiuto non è «il
capitale» ma «il governo del denaro». Senonché la situazione non è più quella
analizzata da Marx, e dunque si deve andare oltre Marx: «Non si tratta più
semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione – dice il papa
– ma di qualcosa di nuovo»; si tratta dell’esclusione, e «con l’esclusione
resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si
vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nelle periferie, o
senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti,
“avanzi”».
Messe così le
cose, si pongono alcune domande.
1) In nome di quale ideologia
viene formulato questo giudizio? Né ideologia né sociologia, «ciò che intendo
offrire – dice Francesco – va piuttosto nella linea di un discernimento evangelico». Dunque siamo in un terreno
specificamente cristiano.
2 ) La critica al sistema
disumanizzante ha solo una ragione politica e umanitaria, o ha una ragione
teologica? È una critica teologica, perché il sistema viene descritto come
idolatrico; esso ha scelto il denaro come suo dio, i «benefici» come regola
assoluta e il mercato «divinizzato»; perciò esso avverte Dio come una minaccia,
perché Dio «è incontrollabile, non manipolabile, perfino pericoloso» nella
misura in cui vuole sottrarre l’essere umano ad ogni schiavitù (n. 57). Dunque
Dio contro Dio, la causa è specificamente cristiana.
3) Prendendo di petto un problema
umano generale, il papa esce dal recinto della Chiesa e si getta nel mondo, inteso
come il grande spazio che va oltre la Chiesa? Se si intende la Chiesa nel modo
tradizionale e la si identifica con l’istituzione cattolica, certamente il papa
esce dal suo recinto. Ma nella visione dell’ Evangelii Gaudium c’è un nuovo «modo di intendere la Chiesa» (n.
111); essa non è solo il popolo che visibilmente le appartiene, ma è il Popolo
di Dio che si incarna nei popoli della Terra (n. 115), che ha le sue radici
nella Trinità e la cui «armonia» è lo stesso
Spirito Santo: dunque si tratta di «tutti», degli «esseri umani di tutti i
tempi»; questa Chiesa, ricca della varietà di tutti i popoli e di tutte le
culture, come «sponsa ornata monilibus
suis» (la sposa che si adorna con i suoi gioielli), è l’umanità tutta
intera, è l’intera collettività (anche se non ancora comunione) dei figli di
Dio. Dunque quando si parla del mondo dominato dal denaro si parla di una
realtà universale che è ancora nel mistero cristiano.
Quali i soggetti della liberazione?
4) Infine c’è l’ultima domanda,
difficile. Quali sono i soggetti della liberazione? È la domanda su cui è
caduta la sinistra dopo la fine del comunismo, quando al posto degli operai ha evocato
il Terzo Mondo, le donne, i giovani. Secondo la risposta classica i soggetti
della liberazione sono le stesse vittime. Quindi, nello schema marxista, sono gli
sfruttati e gli oppressi. Ma ora, secondo il papa, le vittime sono gli esclusi.
E gli esclusi non possono fare la rivoluzione perché, appunto non ci sono, sono
messi fuori.
Da ciò vengono alcune
conseguenze.
La prima è che la lotta contro
l’esclusione è obiettivamente rivoluzionaria, perché attacca il cuore del
sistema di «inequità» (come lo chiama il papa, inequidad in spagnolo), e rimettendo gli esclusi nella società vi
introduce i soggetti della liberazione. Dunque ciò facendo la Chiesa non fa la
rivoluzione, ma la prepara.
La seconda è che, finché gli
esclusi sono tenuti fuori e scartati dalla politica, l’azione per il
cambiamento del sistema non può che essere condotta da minoranze, capaci di
alleanze e di egemonia; nessuno che pretenda avere “vocazione maggioritaria” lo
può fare invocando un altro sistema e parlando per gli esclusi.
La terza è che l’ordine
esistente, per perpetuarsi, deve fare in modo che gli esclusi restino esclusi e
anzi deve creare sempre nuove esclusioni. È impressionante per esempio vedere
come la legge elettorale che oggi viene promossa al posto del “Porcellum” sia una
legge di esclusione, che tende a escludere pezzi sempre maggiori di elettorato
e di forze parlamentari. E si capisce anche perché c’è chi si rallegra affermando
che con la legge maggioritaria finisce ogni possibilità di un cattolicesimo
politico, restando possibile solo la dispersione dei cattolici nel mucchio
delle forze omogenee al sistema. Se l’appello del papa per l’uscita dal sistema
di esclusione e d’iniquità riguarda anche loro, essi dovrebbero invece
recuperare una loro autonomia ideale e politica, impedire che il sistema sia
corazzato e blindato e che le sue gerarchie si perpetuino per cooptazione, e
creare gli spazi perché delle minoranze creative e motivate possano rompere i
limiti del sistema e riaprirlo all’ingresso dei poveri, degli esuli, degli
esuberi e degli esclusi e un mondo più amabile diventi possibile.
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