mercoledì 15 settembre 2010

Stato d’eccezione

di Raniero La Valle


Allo stato dell’arte (un po’ tragedia e un po’ farsa) Berlusconi ancora non se n’è andato. La crisi politica di fatto si è aperta, la sua maggioranza è implosa, il suo conflitto con la giustizia e con tutti gli altri poteri dello Stato (salvo il presidente del Senato) si è fatto acutissimo, l’opposizione incalza, ma tutto ciò non si traduce in una crisi di governo, e il Paese è bloccato. In nessuna democrazia tale inerzia politica sarebbe possibile; da noi accade perché le istituzioni della Repubblica sono state snaturate, per responsabilità dei riformatori di destra e di sinistra, in modo tale da chiudere tutte le vie d’uscita e da lasciare che il potere fosse il solo giudice di se stesso. Il “sovrano del popolo” creato dalla legge elettorale vigente contro ogni legittimità costituzionale, è stato costituito sovrano anche della crisi, come colui che decide lo “stato d’eccezione”.

Perciò solo Berlusconi può decidere di andarsene, oppure solo la sua maggioranza potrebbe abbatterlo con un clamoroso voto in Parlamento, cosa che però Fini e i finiani non sembrano decisi a fare.
 Giustamente Fini può temere per il suo futuro politico; però quando si ha in mano un potere esso deve essere giocato, anche senza rete, perché spesso in politica la cosa veramente importante da fare si presenta una volta sola; e ciò che di veramente importante c’è ora da fare in Italia è chiudere quella fonte di massimo pericolo che è diventato il potere berlusconiano.

Al suo crepuscolo questo potere ha sferrato un durissimo attacco alla Costituzione, pretendendo immunità penale e superiorità rispetto a ogni altro potere. Così si è creato un vero stato d’eccezione, e massimo interesse pubblico è ora che esso non sia deciso da un sovrano illegittimo.

Finalmente la Repubblica ha dato segni di risveglio. Il capo dello Stato ha rivendicato il potere costituzionale di gestire la crisi, fino a sfidare la maggioranza a lanciargli l’impeachment; le opposizioni, dentro e fuori il Parlamento, hanno posto come priorità assoluta il cambiamento dell’oscena legge elettorale che è all’origine dell’attuale disastro; e il partito democratico ha avanzato una grande proposta di aggregazione di tutte le forze disponibili a salvare la Repubblica, secondo due ordini o “due cerchi” di alleanze: il primo per battere la coalizione berlusconiana e ristabilire condizioni di agibilità democratica, e il secondo, più ristretto e più omogeneo, per governare. La proposta di Bersani ha avuto una favorevole accoglienza, mettendo fuori gioco sia la reiterata ricetta di Veltroni, che quando toccò a lui volle affrontare le elezioni senza alleanze e combattere Berlusconi senza mai pronunciarne il nome, sia le fantasiose autocandidature di Vendola e di Chiamparino.

È chiaro infatti quello che ora dobbiamo fare. Anzitutto cercare le convergenze per fare una nuova legge elettorale, che può essere proporzionale o uninominale, purché essa ristabilisca la rappresentanza, ripristini il pluralismo, riporti in Parlamento gli esclusi e favorisca la formazione di maggioranze attorno ai partiti più forti. A questo fine sia il modello tedesco che la vecchia legge Mattarella avrebbero bisogno di importanti correzioni. Una buona soluzione potrebbe ispirarsi alla vecchia legge per il Senato: collegi uninominali maggioritari, ma che scattano solo per i candidati che abbiano raggiunto la metà più uno dei voti, tutti gli altri collegi venendo attribuiti col metodo proporzionale.

Se questo non sarà possibile, e si dovesse andare a nuove elezioni con la legge attuale, dovrebbe essere formata una larghissima “costellazione democratica”, che dovrebbe essere in grado di conquistare alla Camera più dei 350 deputati che col premio di maggioranza l’attuale legge elettorale assegna al partito che ha più voti, anche se con uno scarto minimo di suffragi rispetto al secondo arrivato. In tal modo la truffa della legge elettorale, che trasforma una minoranza in maggioranza assoluta, sarebbe sventata, la costellazione democratica batterebbe il partito di Berlusconi e i seggi sarebbero assegnati su base proporzionale; i partiti della coalizione vincente riprenderebbero poi la loro autonomia in Parlamento, restando tuttavia solidali nella difesa della democrazia e dello Stato di diritto, e tra quelli di loro che fossero in grado di convergere in un programma comune si formerebbe l’alleanza di governo. Ci sarebbe dunque una larga maggioranza parlamentare di tipo costituzionale, e una più ristretta e coesa maggioranza politica e di governo.

Questo con le forze disponibili possiamo riuscire a farlo. La prospettiva è quella di una uscita dal bipolarismo, del ritorno a una democrazia parlamentare e rappresentativa, del ripristino della dimensione pubblica come forma della vita collettiva, della ripresa di una cultura politica, e di un programma di governo di ripresa economica, di centralità del lavoro e di estensione delle garanzie e dei diritti. E allora avremmo anche di nuovo in mano uno strumento, l’Italia, per operare sul piano internazionale, prenderci la cura e la responsabilità del mondo, e concorrere a costruire, come dice la Costituzione, “un ordinamento di pace e di giustizia tra le nazioni”.

Raniero La Valle

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