martedì 26 maggio 2009

Il nuovo volto crudele


di Raniero La Valle

Non ripeteremo qui tutte le critiche che sono state rivolte alla pia pratica del “respingimento” in mare dei profughi di colore, a difesa del codice di purità della presunta “monoetnia” italiana (Berlusconi), né rivangheremo le accuse lanciate contro i provvedimenti del cosiddetto “pacchetto sicurezza”.
Contro questa galleria degli orrori hanno parlato l’ONU, il Consiglio d’Europa, vescovi e comunità ecclesiali, Napolitano e quasi tutti i giornalisti e i politici non corrotti dai profitti di regime. I lettori di questa pagina saranno ormai certamente informati di tutto ciò, perché questa volta si è trattato di una macchinazione politica che non poteva restare occultata. Così oggi tutti sanno che l’Italia ha varato un suo “statuto degli stranieri”, per il quale gli stranieri non autorizzati non possono essere salvati in mare, ma al contrario di Giona, devono essere risospinti nel ventre del pesce (ovvero della Libia); non possono migrare in Europa, benché lo “ius migrandi” faccia parte delle “radici cristiane” dell’Europa, essendo stato posto da Francisco De Vitoria a fondamento della “scoperta” dell’America e del diritto degli spagnoli a installarvisi al posto dei nativi; non possono abitare (chi affitta loro una casa compie un reato); non possono partorire in ospedale, pena la denuncia; possono avere un battesimo ma non un atto di nascita; non possono andare a scuola oltre l’età dell’obbligo, e in qualche città non possono andare ai giardini in più di tre persone. I giuristi, anche sporgendo denuncia contro il governo, hanno riempito pagine e pagine con l’elenco di tutte le norme violate: Carta dell’ONU, Dichiarazione universale dei diritti umani, Costituzione italiana, Convenzioni di Ginevra e Patti internazionali europei e mondiali. I cristiani ci potrebbero mettere di loro l’elencazione di tutte le pagine del Vangelo tradite e dei passi pertinenti delle Costituzioni e Dichiarazioni del Concilio. Si dovrebbero poi aggiungere le critiche alle altre follie legislative del pacchetto sicurezza, dalle ronde parapoliziesche all’aumento a pioggia delle aggravanti per reati di maggiore attrattiva mediatica.
Tutto ciò si può dare per scontato.
Ma quello che si deve dire ancora è che la classe che ci governa non ha il diritto di farci essere crudeli. Una maggioranza transitoria che presto potrebbe essere rovesciata, sta cambiando la figura dell’Italia, facendole assumere un volto spietato e crudele, egoista e violento.
L’Italia non era così. Era un Paese mite e gentile, tollerante e pacifico; in Palestina cercava di mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa, nella guerra fredda anticipava la multilateralità della globalizzazione, una volta addirittura invece di respingere i fuggiaschi, respinse gli americani che volevano catturarli; certo, ha fatto anche molti errori, la sua accondiscendenza agli alleati l’ha fatta partecipare a qualche guerra di troppo, ha esportato armi e mafie, e talvolta ci facciamo ridere dietro perché mandiamo in giro un presidente del Consiglio che racconta barzellette.
Ma mai era successo che i suoi marinai si lamentassero di eseguire “ordini infami”, che ai perseguitati fosse negato il diritto stesso di chiedere asilo, che naufraghi stremati, donne incinte e bambini fossero raccolti in mare e scaricati come rifiuti sulle coste dirimpetto.
L’Italia non era maledetta, perché non malediva; l’ultima volta l’aveva fatto col fascismo, che aveva invocato: “Dio stramaledica gli inglesi”; ma quello, come ha detto Benedetto XVI del nazismo, era “un regime senza Dio”, razzista e xenofobo.
Nessun governo ha il diritto di ridare all’Italia quel volto. Né potrebbe farlo, se l’antifascismo funzionasse ancora da antidoto. Ma da molto tempo esso è sotto attacco. E adesso capiamo dove portava quel rivalutare “i ragazzi di Salò”; ora capiamo perché si volesse sottoporre a revisione il passato, mettere sullo stesso piano fascisti e partigiani, mettere a carico della resistenza, come un’onta, “il sangue dei vinti”, e perfino cambiare il nome alla festa della liberazione: quando liberazione è il frutto di una lotta, e non si può celebrare per sé se non se ne riconosce il diritto anche agli altri, mentre libertà è lo stato o il privilegio di chi comunque l’ha ricevuta e ne gode anche da solo, e nella tradizione liberale è sempre stata associata, se non identificata, con la proprietà.
Far cadere la differenza tra fascismo e antifascismo, negare il patrimonio ideale su cui storicamente si è costruita la democrazia repubblicana, è la via attraverso cui una classe dirigente che, per la sua origine, in siffatta Repubblica si sente priva di legittimazione, cerca di darsene una. Ma il prezzo di tale legittimazione verrebbe fatto pagare all’Italia, se essa dovesse riassumere il volto, e anzi la maschera, di una nazione arrogante e incivile, a cui, al vederla, i popoli fischieranno o da cui distoglieranno lo sguardo.

Raniero La Valle

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